Tutti i film di totò e peppino

Regia di Sergio Corbucci. Un film con Totò, Mara Berni, Francesco Mulè, Peppino De Filippo, Gloria Paul, Antonio Pierfederici. Cast completo Genere Comico - Italia, 1961, durata 89 minuti. - MYmonetro 3,02 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Totò e Peppino dal loro paesino del meridione vengono inviati dai compaesani a Roma per interessarsi di una progettata, grande autostrada che dovrebbe...

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3,02/5

CONSIGLIATO SÌ

Totò e Peppino De Filippo, in un fotogramma tratto dalla celeberrima scena della dettatura della lettera dal film “Totò, Peppino e…la malafemmina”(1956).

Diceva Totò: “Io posso far ridere, ma se ho vicino a me uno che fa ridere più di me, anch’io faccio ridere di più”. Una definizione che calza a pennello per l’accoppiata con Peppino De Filippo. Diamo alcuni numeri. Sedici film insieme tra il 1952 di “Totò e le donne” e il 1963 de “Gli onorevoli”; dei quali però, in due, proprio ne “Gli onorevoli” e in “Il giorno più corto” gli attori non si incontrano mai. Degli altri quattordici, in “Totò e le donne” il protagonista assoluto è Totò, Peppino ha una partecipazione straordinaria; al contrario in “Arrangiatevi!”(1959) è Peppino il protagonista e Totò interpreta un ruolo importante seppur secondario. Nei rimanenti dodici film i due, lavorano a pieno regime come una coppia cinematografica, regalandoci momenti di grandissima ilarità. Gli incassi dei film di Totò e Peppino furono a dir poco eccezionali, sempre tra i 300 e i 700 milioni di lire, portando in sala stabilmente tra i 3 e i 5 milioni di spettatori. Il film dei film della coppia è ovviamente “Totò, Peppino e la…malafemmina”, campione di incassi della stagione 1956 e capolavoro assoluto e conclamato della cinematografia italiana. Mai Peppino fu, come qualcuno erroneamente aveva sentenziato, “spalla” di Totò: perché la chiave del loro rapporto, che ne fa la più grande coppia comica italiana, è l’assoluta complicità. Non vi è rapporto di dipendenza tra Totò e Peppino. Ognuno è complementare all’altro. I due inventano, improvvisano, dispiegano una comicità che nel tempo rivela sempre più la sua grandezza assoluta; alla pari dei fratelli Marx, esibiscono la propria stupidità come un nuovo originale approccio al mondo, per scardinare le regole. Totò e Peppino, quest’ultimo ovviamente insieme al fratello Eduardo e alla sorella Titina, si conobbero intorno alla Prima Guerra mondiale, ancora ragazzi. Erano i difficili anni dell’apprendistato, anni di entusiasmi e di tentativi umilianti, in cui Totò cercava la strada per evitare di finire in Marina, come avrebbero voluto i suoi, e i De Filippo per costruirsi una sopravvivenza artistica. Peppino non è precisissimo, ma nel corso di un’intervista concessa nel 1977, così colloca l’incontro con l’amico Totò: “Conobbi Totò quando cominciava a lavorare nei varietà periferici di Napoli: piccoli teatrini sgangherati. Che anno era? Mah, il 1915, il 1916…chi si ricorda? Totò allora faceva l’imitazione di un artista che si chiamava Gustavo De Marco. Il suo numero consisteva di contorcimenti marionettistici, macchiette, gag. La stella di questo attore era ormai in declino e sulla sua scia sorgeva invece questo guaglione”. Di tanto in tanto, Totò, Peppino ed Eduardo si incrociavano nei cosiddetti weekend teatrali, insieme ad altri giovani artisti alla bramosa ricerca di un’affermazione e di un pezzo di pane e frittata. Eppure Peppino fu l’ultimo dei De Filippo, con il quale Totò lavorò. Prima aveva fatto un film con Titina, ovvero “San Giovanni Decollato”(1940) e dopo ne farà uno con Eduardo nello splendido squarcio di poesia di “Napoli milionaria”(1950). Poteva essere una coppia quella con Eduardo, però l’umanità di quest’ultimo e la tensione morale delle sue commedie non collimavano con l’allegra amoralità della maschera di Totò. Serviva qualcuno più addentrato nella comicità della commedia dell’arte, nella farsa. E chi era l’insuperabile re di questo genere? Peppino, chi altri.

Il primo film in cui Totò e Peppino sono una coppia a tutti gli effetti: “Una di quelle”, film del 1953 diretto dal comune collega ed amico Aldo Fabrizi.

I due erano destinati ad incontrarsi al cinema e per merito di Steno e Monicelli, questo avvenne nel 1952, quando osarono finalmente accoppiarli in “Totò e le donne”. E’ solo un assaggio: Peppino compare solo a sprazzi, nel ruolo del fidanzato della figlia di Totò; ma in quelle due-tre scene dove sono insieme, Steno e Monicelli ebbero l’intuizione di ipotizzare un farsesco rapporto di opposizione e allo stesso tempo di complicità (divisi da una donna, la figlia di Totò concupita da Peppino, i due sono uniti nel comune rapporto di amore-odio per il sesso femminile), che li portò subito a mescolare punzecchiature vicendevoli e una virile solidarietà nella sventura. Ci provò subito Aldo Fabrizi,come già accennato sopra grande amico nella vita sia di Totò che di Peppino, che li volle dirigere in “Una di quelle”(1953), rieditato qualche anno dopo “Totò, Peppino e…una di quelle”, per sfruttare l’eco del successo della coppia. Fabrizi si riservò per sé il ruolo del regista e una parte secondaria. Nel film Totò e Peppino adoperano per la prima volta una delle chiavi che si sarebbero rivelate vincenti nel loro repertorio, quello della coppia di provinciali che sbarcano nella grande città a caccia di avventure. La protagonista femminile è Lea Padovani, una giovane vedova con il figlio malato, che tenta di fare la prostituta incontrando i due al night club. Il film è in definitiva un melodrammone con qualche intermezzo comico e il tandem tra i due attori napoletani era ancora in rodaggio. Insomma il bello doveva ancora arrivare. Passò qualche tempo. A metà degli anni ’50, il principe De Curtis cominciò a riflettere sull’emergere di una comicità più aderente alla realtà, guardando con preoccupazione lo splendore sempre più intenso che emanava la stella di Sordi. Svincolatosi da un lungo contratto con Ponti-De Laurentiis, decise di guidare meglio la propria carriera e si rese indipendente, fondando la propria casa di produzione chiamata la DDL (Antonio De Curtis; Alfredo De Laurentiis, fratello del produttore Dino; Renato Libassi, l’amministratore dell’attore). Uno dei primi film della DDL fu “La banda degli onesti”, girato nel gennaio 1956 da Camillo Mastrocinque, il film che dà l’inizio, ufficioso, al sodalizio tra Totò e Peppino. Lo stesso Peppino in un’intervista degli anni ’70, dichiara: Una sera del 1955, Totò venne a trovarmi in camerino, al teatro delle Arti di Roma. Era piuttosto abbacchiato. A tu per tu, in un momento di confidenza, mi disse che cinematograficamente le cose non gli andavano più tanto bene. Volevo fare una serie di film con lui?”. Peppino accettò subito, attratto da tanti fattori: la possiblità di accrescere il proprio prestigio personale; il desiderio di portare nel cinema qualcosa di diverso; e la possibilità di lavorare con l’amico di vecchia data. Quella de “La banda degli onesti”, tra le pellicole interpretate in coppia, è proprio tra le migliori. Non siamo ancora alla farsa scatenata, perché gli sceneggiatori Age e Scarpelli, in un soggetto che è un preludio ai “Soliti ignoti” hanno mescolato alle risate l’osservazione acuta dell’ambiente popolare, lo protervia dei corrotti, le smanie del piccolo borghese per un gradino in più nella scala sociale. E per queste ragioni “La banda degli onesti”, rimane forse il lavoro più intelligente, da un punto di vista critico-sociologico della coppia. Alcune delle caratteristiche proprie della coppia ci sono già, come il continuo tentativo da parte di Totò di annichilire Peppino: innanzitutto fisicamente, ad esempio chiudendogli la mano in una pressa tipografica, o versandogli del solvente sulla testa.

Totò, Peppino De Filippo e Giacomo Furia nel film “La banda degli onesti”(1956).

Il pubblico rispose con incassi più che ottimali e la DDL, decise di puntare tutto sulla coppia. Il nome di Peppino entrò così per la prima volta nel titolo di una pellicola accanto a quella di Totò, per quello che è definito il più grande film comico della storia del cinema italiano: “Totò, Peppino e la…malafemmina”. Ispirato alla canzone “Malafemmina” scritta da Totò dopo l’infelice amore per Silvana Pampanini e qui cantata da Teddy Reno, è il capolavoro di Totò e Peppino, un gioiello di comicità surreale con l’esilarante scena della dettatura della lettera entrata di diritto nel patrimonio culturale mondiale. Indimenticabile anche il loro arrivo a Milano, intabarrati come cosacchi, con le provviste per la sopravvivenza e una lanterna a olio per orientarsi nella nebbia, perchè “a Milano quando c’è la nebbia non si vede”. La coppia funziona benissimo. E’ affiatata, in sintonia perfetta, esilarante, e poi Totò e Peppino erano amici da così tanti anni, da quei duri anni della gavetta che entrambi avevano fatto. La trama del film ha un intreccio molto semplice poggiato esclusivamente sulla forza e i lazzi dei due protagonisti, con moltissime scene entrate negli annali del cinema. Totò e Peppino / i fratelli Capone, portano al capolavoro la maschera del campagnolo sprovveduto (Caponi di nome, cafoni di fatto). A giugno del 1956 si filmano le scene, e in settembre il film è già in sala. Qui il pubblico decretò subito un clamoroso successo: solo a Milano il film fece tutto esaurito per quattro mesi di fila, a Napoli, ovviamente, il doppio. Nessun film con Totò e Peppino De Filippo protagonisti avrebbe più fatto altrettanto: l’incasso complessivo fu di 668 milioni e 538 mila lire, cifre che allora significavano un successo eccezionale. Ce lo conferma lo stesso Peppino: “Si creda o no, furono i film che io girai in coppia con Totò a salvare il nostro cinema di allora, che subiva l’egemonia delle produzioni americane”. Nell’ottobre dello stesso anno gli stessi sceneggiatori (Anton, Amendola, Maccari), mettono in scena “Totò, Peppino e i fuorilegge”, quasi la naturale prosecuzione del precedente film. La presenza di Peppino è più scarna, perché sulle riprese incombeva una prestigiosa tournéè teatrale, che avrebbe tenuto lo stesso attore impegnato in sud-America per almeno tre mesi. Ragion per cui, le scene girate con Peppino da solo o in coppia con Totò vennero girate tutte nell’arco di una sola settimana. La sorella Titina (a proposito, qui deliziosa) e Totò avrebbero poi completato con più calma le scene mancanti. Ciò non toglie che anche Peppino alla fine risulti protagonista del film, e che lo stesso film abbia momenti di ilarità, pari a quelle celeberrime di “Totò, Peppino e la…malafemmina”. Ad esempio, se questo film nel complesso risulta leggermente inferiore, ma soltanto perché l’aura di quel film è difficilmente pareggiabile; le scene nel tabarin sono qui addirittura più azzeccate. Quei venti minuti di montaggio all’interno del locale notturno distrutto dai pruriti vagamente erotici dei due poveri diavoli a metà tra balordaggine e astuzia, con la celeberrima situazione dei due cafoni che fanno la bella vita in un night, valgono da soli il prezzo del biglietto. La coppia, ha ormai, perfezionato l’aspetto della complicità, la chiave del loro successo insieme. La battuta chiave per capire i meccanismi del sodalizio artistico tra Totò e Peppino, è desumibile proprio da una battuta che lo stesso Totò dice a Peppino, nel film “Totò, Peppino e i fuorilegge”: Bisognerebbe che tu mi coadiuvassi, che m’aiutassi, Peppì, che diventassi un po’ complice, correo”. E’ una dichiarazione di intenti, e insieme un invito al gioco. Nello specifico quello di spillare soldi, tramite un finto rapimento, all’avarissima moglie di Totò (un’inarrivabile Titina De Filippo), per andare a goderseli nella Roma mondana e provocatrice di fine anni ’50. Ma le imprese di Totò e Peppino si concludono, di solito, quasi sempre male: la banda degli onesti non riesce a spacciare i soldi falsi, perché loro fondamentalmente sono persone oneste; i fratelli Caponi finiscono all’ospedale; il Totò finto rapito, scoperto e cacciato di casa dalla moglie, si riduce a fare il garzone dal barbiere Peppino. Totò e Peppino osano insieme ed insieme falliscono, senza che nessuno prevarichi realmente l’altro. La classica coppia formata da comico e spalla è ben altra cosa: obbedisce ad un meccanismo che è l’incarnazione stessa della comicità, ovvero la deviazione inaspettata della norma, dove la spalla incarna la norma, il comico la sua deviazione. Ebbene Peppino sembrerebbe l’incarnazione della norma e Totò la sua negazione. In realtà avviene proprio il contrario: è Totò ad imporre le sue, pur strampalate, regole e Peppino l’ostacolo, stolido e inetto, che rischia di deviarle. Nella scena della lettera, Totò detta (ordina, decide) regole grammaticali già deviate in partenza, dandoci un esempio di comicità esplosiva; ma è quasi più divertente la vigile passività di Peppino, che asseconda le follie letterarie del partner senza battere ciglio, come se la dettatura dell’amico fosse una cosa naturale e soprattutto ineccepibile dal punto di vista grammaticale. L’assurdità della scena è quindi amplificata dal comportamento accondiscente di Peppino: impossibile immaginare il modo in cui Peppino ha trasferito su carta il delirante testo di Totò e l’ancor più delirante punteggiatura. E’ sempre Totò dunque a proporre, a spingere i due ad avventurarsi in cose più grandi di loro; ma è poi Peppino (la sua ignoranza, la sua grettezza) a complicare la situazione, come nella colossale rissa a piatti in faccia, che chiude la loro distruttiva avventura al night in “Totò, Peppino e i fuorilegge”.

Nel 1957 venne un periodo di inattività per Totò, causa la malattia agli occhi che lo renderà praticamente cieco nei successivi anni ’60: ne fanno le spese due film che i due avrebbero dovuto girare nella tarda primavera di quell’anno: “Totò e Peppino mariti imbroglioni” e “Totò e Peppino in via Veneto”, chissà quanto anticipatore della “Dolce vita” di Fellini. Totò si rimise in sesto per il 1958 e i due poterono girare “Totò, Peppino e le fanatiche”, quello che viene considerato non tra i migliori film della coppia, ma non per questo deprecabile. Forse fu colpa di una trama che invece di dare spazio alla chiave classica della coppia, ovvero quello di infrangere le leggi con la loro comicità, li fa apparire malinconicamente pieni di buon senso. Forse la causa della non completa riuscita del film, fu la malattia agli occhi di Totò, che lo aveva tenuto lontano dai set per un po’; eppure il film non è da buttare e qualche sprazzo di genialità c’è, come le scene del camping dei due che cercano di abbordare due turiste straniere, ma quando sono sul punto di quagliare, vengono immancabilmente messi nel sacco dai due tranquillanti che la moglie di Totò aveva dato loro poco prima. Più che altro il film, è importante nella logica di quello che avverrà negli anni successivi, ovvero il tentativo di fare qualcosa di diverso rispetto ai film precedenti della coppia.

Un fotogramma tratto da “Totò, Peppino e le fanatiche”(1958).

Qualcosa di diverso, in senso positivo, si vede già in “Arrangiatevi!”, film, anzi, commedia all’italiana di Mauro Bolognini del 1959, dove per la verità accade ciò che abbiamo già visto in “Totò e le donne”. Qui, al contrario del film di Steno e Monicelli, Peppino è il protagonista assoluto e Totò ha una parte secondaria nel ruolo del nonno Illuminato di nome e di fatto. E’ l’occasione della vita per Peppino, perché a ragione, la pellicola è ritenuta una delle migliori commedie degli anni ’50: fertilità d’invenzione, dialogo sagace, ritmo scorrevole e coraggioso impegno sociale. Questo bel film, ambizioso e importante, non si limita ad affrontare il problema delle case che non ci sono ancora: affronta anche il problema di quelle che non ci sono più: le case chiuse, o case di piacere, o case di tolleranza. Fu girato infatti nell’ex bordello di via Fontanella Borghese a Roma chiuso da pochi giorni per effetto di una legge falsamente progressista, e che ha fatto epoca: la famosa “Legge Merlin”. Durante le riprese vi fu anche un litigio autentico di Totò e Peppino con un deputato missino che reputava scandaloso girare una pellicola in quei luoghi e farli dunque conoscere ai pochi che non li conoscevano. “La più divertente e importante commedia che il cinema italiano ci abbia dato negli ultimi anni” la definì un critico solitamente prudente come Morando Morandini. E per il tema trattato e per il coraggioso impegno sociale, la pellicola è anche una delle primissime commedie all’italiana. Un film triste, crepuscolare, vagamente malinconico, un estremo tentativo, riuscitissimo, di commedia neorealista, di una delle ultime immagini cinematografiche di un’Italia povera, sofferente, a testa bassa. I protagonisti del film sono Peppino De Filippo nei panni del capo famiglia Peppino Armentano, e la bravissima Laura Adani, che interpreta sua moglie Maria. Totò, in regime di partecipazione straordinaria, interpreta il ruolo del nonno Illuminato, padre di lei e suocero di Peppino. Infatti, per quanto siano insieme nel film, qui Totò e Peppino non sono una vera coppia comica come nelle altre loro pellicole, Peppino, come già detto, ha infatti un ruolo più importante di quello di Totò (che nonostante ciò amava moltissimo il film). Splendido il finale, in cui la famiglia al completo trova il coraggio di reagire, in un’epica scena liberatoria, dove dalla finestra dello stabile Laura Adani grida al mondo intero che quella dove abitano è una casa come tutte le altre e che la rispettabilità di un luogo dipende dalla gente che lo abita e non dal suo passato. Un finale moralizzatore, con una presa di coscienza e una riconquista della dignità, quasi commovente.

La locandina del film “Arrangiatevi!”(1959).

Nell’anno successivo la coppia torna sullo stesso piano di importanza, quella stagione viene considerata la più prolifica del duo, escono infatti in sala ben tre film: “Signori si nasce”, “Letto a tre piazze” e “Chi si ferma è perduto!”, che portano in sala, complessivamente, 6 milioni e mezzo di persone. Il 1960, Totò e Peppino lo passarono quasi sempre insieme, si vedevano a turno nella villa dell’uno o dell’altro e si aggiustavano quei mediocri copioni, con le loro idee, in un’unione che cresceva sempre di più. In questi tre film, non cambia l’affiatamento tra i due comici, ma si fa qualcosa di diverso, la coppia vive sulle gag del contrasto più che sulla complicità: è un Totò contro Peppino, non un Totò e Peppino. Nel primo, i due sono fratelli, pauroso, gretto e ricco Peppino; sciupone, inetto e scostumato il secondo. Il tutto in una gustosa storia in costume: una sorta di pochade ambientata nel primo ‘900. Poi venne lo spassoso “Letto a tre piazze”, ispirato ad un fatto reale avvenuto a Napoli. Qui la rivalità della finzione si acuisce ancora di più, fra Peppino, travet tronfio e un po’ infingardo, e Totò, ex soldato irascibile e un po’ millantatore, un reduce dal fronte russo che reclama dopo dieci anni la moglie risposata, proprio con Peppino. La pellicola contiene uno di quei momenti leggendari, quasi al livello della scena della lettera: quella a letto, dove Totò continua ad agitarsi e a infastidire Peppino. Scena che proseguì ben oltre il plot contenuto nella sceneggiatura e per fortuna il regista Steno aspettò sempre a dare lo stop, regalandoci una delle sequenze più spassose della storia del cinema italiano. L’ultimo film del 1960 è dunque, “Chi si ferma è perduto!”, quello forse più compiuto dei “Totò e Peppino” in contrapposizione e non complici. Infatti, il film spezza la complicità fra Totò e Peppino mettendoli su fronti opposti, in guerra l’uno con l’altro per ottenere il posto del capoufficio appena defunto. Stavolta toccò al giovane regista Sergio Corbucci rimanere a bocca aperta davanti alla resa cinematografica della coppia. E il suo stupore aumentò ancora quando venne chiamato alla guida di “Totò, Peppino e…la dolce vita”, subentrando a Camillo Mastrocinque (regista dei tre film della coppia del 1956) che era entrato in conflitto con la produzione dopo i primi giorni di riprese. Come si evince dal titolo, il film è una parodia de “La dolce vita” di Federico Fellini, ma la curiosità sta nel fatto che il soggetto iniziale era preesistente al film del regista riminese, e avrebbe dovuto costituire, qualche anno prima, la base di partenza per un altro film, “Totò e Peppino in via Veneto”, chissà quanto anticipatore del capolavoro di Fellini. Ma intanto “La dolce vita” era uscito, ottenendo clamori e successo, e Corbucci arricchì il copione prelevando spunti da “La dolce vita” e voltandoli in parodia. Totò e Peppino tornano complici, rispolverando la forma di un tempo, e mettono in atto una di quelle scene memorabili rimaste nell’immaginario comune: quella in cui i due, seduti ad un tavolino di un bar di via Veneto, abbordano due turiste straniere. Fellini stesso, si divertì molto per l’omaggio irriverente al suo film più famoso e nel 1982 lo inserì nella lista dei suoi film preferiti. Poi venne l’ultimo film della coppia con il nome in ditta, “Totò e Peppino divisi a Berlino”, forse il peggiore. Un film che trae spunto dalla recente costruzione del muro di Berlino: una satira politica non particolarmente riuscita. Certo, alcuni momenti comici sono anche azzeccati, pur restando il meno compiuto in assoluto dei film della coppia. L’anno successivo i due appaiono insieme in alcune sequenze di “Totò contro i 4”, ma la formula è ormai arrivata al termine: al cinema molte cose stavano cambiando, molti degli artisti della “prima generazione”, come Peppino, stavano accettando la nuova ventata di freschezza offerta dalla televisione; in più si aggiunga la generale stanchezza del principe De Curtis per un certo tipo di cinema comico. Almeno fino a quando non irruppe nella sua vita un certo Pier Paolo Pasolini, il quale negli ultimissimi anni della sua vita, gli restituisce un’ultima grande e non effimera gioia (un lungometraggio e due corti: “Uccellacci e uccellini”, “La terra vista dalla luna” e “Che cosa sono le nuvole?”).

Fotogramma tratto dalla scena del night in Via Veneto, del film “Totò, Peppino e la dolce vita”(1962).

Domenico Palattella

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