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Se alla scadenza del contratto a termine mancano poche settimane al parto, come fare per non perdere indennità di maternità e indennità di disoccupazione? Per chi ha un contratto a tempo determinato che si avvicina alla scadenza e aspetta un bambino, le preoccupazioni sono molte. Il non perdere il diritto all’indennità di maternità, ad esempio, e non perdere il diritto all’indennità di disoccupazione. La neo mamma disoccupata, in ogni caso, ha diritto a delle tutele. Vediamo il caso di una nostra lettrice che ci scrive: Buongiorno Lei ha diritto a tutto e non perderà assolutamente nulla. La lavoratrice con contratto a tempo determinato, infatti, ha diritto all’indennità di maternità a patto che la fine del contratto e l’inizio dell’astensione obbligatoria non siano a più di 60 giorni di distanza. L’indennità di maternità spetta per 5 mesi, il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. E la lavoratrice può decidere di fruirne:
Nel suo caso, quindi, può decidere di andare in maternità dal 10 maggio al 10 ottobre (e prendere solo al termine dell’astensione obbligatoria l’indennità di disoccupazione spettante) o dal 10 giugno al 10 novembre (anche in questo caso percepirebbe l’indennità di disoccupazione al termine dell’astensione obbligatoria). La Naspi, infatti, non la perde in nessuno dei due casi perché il periodo di astensione obbligatoria congela i termini per la presentazione della domanda di disoccupazione oppure sospende l’indennità stessa per tutto il periodo in cui la lavoratrice percepisce indennità di maternità. A sua scelta, quindi, accedere all’indennità di maternità prima della scadenza del contratto di lavoro o dopo la stessa, il diritto alla Naspi è conservato. La domanda di disoccupazione, infatti, può presentarla anche subito, alla scadenza del contratto di lavoro ma la percepirà solo al termine della maternità obbligatoria (la domanda può presentarla anche al termine dell’astensione obbligatoria, ma in questo caso avrebbe un “buco” tra la fine della maternità e l’inizio dell’indennità di disoccupazione. Le strade sono due quindi:
Di fatto, quindi, la Naspi è sospesa per tutto il periodo in cui percepirà indennità di maternità e questo le permette di sommare i due periodi per avere una indennità più lunga. Invia il tuo quesito a
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Protected by StackPath Questa voce è stata curata da Barbara Fezzi e aggiornata da Alexander Bell Scheda sinteticaLa legge tutela la lavoratrice madre nelle diverse fasi della gravidanza e nei primi anni di vita del bambino. Innanzitutto viene tutelata la salute della lavoratrice, vietando che la stessa venga adibita a lavori ritenuti pericolosi, dall’inizio della gravidanza e fino al settimo mese di età del figlio, nonché a lavori notturni (dalle 24 alle 6). La legge prevede poi l’obbligo di astensione dal lavoro per la lavoratrice da due mesi prima la data presunta del parto, sino a tre mesi dopo (è però prevista la possibilità di astenersi in un momento antecedente i due mesi precedenti la data presunta del parto – in determinate condizioni di salute della lavoratrice – oppure il mese precedente la data presunta del parto ed i quattro mesi
successivi), con diritto all’80% della retribuzione (c.d. congedo di maternità). A entrambi i genitori è poi riconosciuto il diritto di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino (c.d. congedi parentali). La disciplina di tale diritto di astensione è stata profondamente modificata dal legislatore a giugno 2015,
nell’ambito delle riforme introdotte con il c.d. Jobs Act. Per i primi 3 anni di vita del bambino, e per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi, nei periodi in cui godevano di questo congedo, le lavoratrici e i lavoratori avevano inoltre diritto a una indennità pari al 30% della retribuzione . Con il decreto legislativo n. 80/2015, uno dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act, entrato in vigore il 25 giugno 2015, il legislatore ha ridisegnato la suddetta normativa in materia di congedi parentali, introducendo una serie di modifiche dichiaratamente volte a estendere il diritto di astensione dal lavoro dei lavoratori genitori. In particolare, la riforma del 2015 ha stabilito:
Un’ulteriore novità in materia di congedi parentali è stata introdotta dal decreto legislativo n. 81/2015 (in materia di disciplina organica dei contratti di lavoro), anch’esso attuativo del Jobs Act (legge delega n. 183/2014). Nello specifico, il decreto attribuisce ai lavoratori e alle lavoratrici la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time) , con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50%. Risale invece alla riforma del mercato del lavoro del 2012 l’introduzione, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, della possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità e in alternativa alla fruizione del congedo parentale, la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting ovvero per far fronte ai costi dei servizi pubblici o dei servizi privati accreditati per l’infanzia. La legge 208/2015 ha prorogato al 2016 l’applicazione di tale misura. Nel corso della vita del figlio, i genitori lavoratori hanno poi diritto a riposi retribuiti e congedi non retribuiti per le malattie del figlio. La legge, infine, garantisce la conservazione del posto di lavoro per la lavoratrice madre, o il lavoratore padre che abbia usufruito di congedi, attraverso il divieto di licenziamento dall’inizio
della gravidanza sino al compimento di un anno di età del figlio, l’obbligo di convalidare le dimissioni presentate in questo stesso periodo avanti la Direzione Provinciale del Lavoro, nonché il diritto a conservare il proprio posto di lavoro e a rientrare nella stessa unità produttiva cui era adibita precedentemente, con le stesse
mansioni.
Fonti normative
Cosa fare – Tempi
A chi rivolgersi
Documenti necessari
Tutela della salute della lavoratriceDurante la gravidanza (e fino ai sette mesi di età del figlio) la lavoratrice non può essere adibita al trasporto, al sollevamento di pesi nonché a lavori pericolosi, faticosi
ed insalubri. Congedo di maternità (cosiddetta “astensione obbligatoria”)È vietato
adibire al lavoro le lavoratrici nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi al parto. Può inoltre essere disposta l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza anche in un momento precedente nei seguenti casi:
Ove il parto avvenga oltre la data presunta, l’astensione obbligatoria opera anche per il periodo intercorrente
tra la data presunta e la data effettiva del parto, nonché durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Con lo stesso decreto 80/2015 è stato altresì previsto che, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha diritto di chiedere la sospensione del congedo post partum, riprendendo l’attività lavorativa e differendo la fruizione del congedo dalla data di dimissione del bambino. In presenza di certificazione medica che attesti che la prosecuzione dell’attività lavorativa anche nel corso dell’8° mese di gravidanza non comporti pericoli per la salute della gestante e del nascituro, le
lavoratrici possono posticipare la decorrenza del periodo di astensione obbligatoria, scegliendo di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto. Per tutto il periodo del congedo per maternità, le lavoratrici hanno diritto ad una indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione. L’indennità di maternità è dovuta anche in caso di:
Le lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero disoccupate, sono ammesse al godimento dell’indennità giornaliera di maternità purché tra l’inizio della sospensione,
dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni, per il calcolo dei quali non si tiene conto di:
Qualora invece il periodo di congedo di maternità abbia inizio dopo che siano trascorsi sessanta giorni
dalla risoluzione del rapporto di lavoro (o dalla sospensione):
La lavoratrice che abbia adottato un minore ha diritto all’astensione dal lavoro nei cinque mesi successivi all’ingresso del minore nella famiglia. La normativa relativa al congedo di maternità si applica alle lavoratrici dipendenti (comprese le lavoratrici a domicilio, le lavoratrici domestiche e quelle con contratto a tempo parziale) ed alle titolari di collaborazioni a progetto (per le quali, in caso di gravidanza, è prevista la proroga della durata del rapporto di lavoro per 180 giorni). Godono di una indennità di maternità (erogata dall’Inps) anche le
lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole. Alle libere professioniste, iscritte a una cassa di previdenza e assistenza, è corrisposta un’indennità di maternità (in misura pari all’80 per cento di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini
fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda) per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi. Va infine segnalato
che la riforma del 2012 ha introdotto, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, un periodo di astensione obbligatoria anche a favore del padre lavoratore dipendente, il quale, entro 5 mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, con un’indennità giornaliera, a carico dell’INPS, pari al 100 per cento della sua retribuzione. La legge n. 208/2015 (c.d. Legge di stabilità 2016), da ultimo, ha prorogato per l’anno 2016 l’applicazione della disciplina di entrambi i congedi (obbligatorio e facoltativo) a favore del padre, aumentando a due giorni la durata del congedo obbligatorio. Congedi parentali (cosiddetta “astensione facoltativa”)Per congedo parentale si intende il diritto in capo a entrambi i genitori di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino. Il
diritto all’astensione facoltativa dal lavoro è riconosciuto, ai sensi dell’art. 32 del d.Lgs. 151/2001, ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti (esclusi quelli a domicilio o gli addetti ai servizi domestici) titolari di uno o più rapporti di lavoro in atto, nonché alle lavoratrici madri autonome, seppur per periodi inferiori. Le modalità e i tempi di fruizione dei congedi parentali sono stati ampiamente modificati da due recenti decreti legislativi (il n. 80 e il n. 81 del 2015), entrambi emanati per dare attuazione al c.d. Jobs Act. Le nuove disposizioni, originariamente previste in via sperimentale per il solo anno 2015, sono state successivamente rese definitive e strutturali dal decreto legislativo n. 148/2015, entrato in vigore a settembre 2015. A seguito delle novità introdotte dai decreti attuativi del Jobs Act, la legge ora prevede che i
genitori lavoratori, nei primi 12 anni di vita del figlio (8 anni, nella disciplina pre-riforma), possono astenersi dall’attività lavorativa per un totale di 10 mesi, frazionati o continuativi; i mesi sono 11, se il padre si astiene almeno per 3 mesi. Il diritto all’astensione facoltativa è riconosciuto anche ai genitori adottivi e affidatari, che possono usufruire dei congedi parentali entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia (art. 36 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015). La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata (legge n. 104/1992 art. 4, comma 1) hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di congedo parentale ordinario, non superiore a tre anni, o,
in alternativa, nei primi tre anni di vita del minore, a un permesso giornaliero di due ore retribuite, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore (art. 33 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015). Ai fini dell’esercizio del diritto al congedo parentale, i lavoratori devono:
Il genitore richiedente
deve allegare alla domanda presentata all’Inps:
La malattia della lavoratrice madre o del lavoratore padre durante il periodo di congedo parentale interrompe il periodo stesso con conseguente slittamento della scadenza e fa maturare il trattamento economico relativo alle assenze per malattia. In tal caso, occorrerà inviare all’azienda il relativo certificato medico e comunicare esplicitamente la volontà di sospendere il congedo per la durata del periodo di malattia ed eventualmente spostarne l’utilizzo. Il periodo di astensione facoltativa è computato nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alla gratifica natalizia. Con la riforma del 2012, è stata inoltre introdotta, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo per il pagamento dei servizi di baby sitting che può essere erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro. Ai lavoratori genitori è infine riconosciuta la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time) , con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50% (novità introdotta dal d.lgs. 81/2015). Riposi e congediRiposi retribuiti della madre e del padre (cosiddetto “riposo per allattamento”)Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il
riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. Gli stessi riposi spettano al padre lavoratore nei seguenti casi:
In passato, il padre non poteva fruire dei riposi retribuiti quando la moglie era casalinga in quanto si riteneva che il concetto di “madre lavoratrice
non dipendente” facesse riferimento all’ipotesi di madre che svolgeva un’attività di lavoro autonomo (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta, libera professionista etc.) e non alla madre in stato di disoccupazione. Il padre non ha diritto ai riposi giornalieri nel caso in cui:
Congedi non retribuiti per malattia del figlioI congedi non retribuiti per malattia del figlio spettano:
Per fruire dei congedi, il genitore deve presentare il certificato di malattia rilasciato da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale nonché una dichiarazione attestante che l’altro genitore non sia in congedo negli stessi giorni per il medesimo motivo. Lavoro notturnoÈ vietato
adibire le lavoratrici al lavoro notturno, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.
Tutela del posto di lavoroDivieto di licenziamentoLe lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento un
anno di età del bambino, ai sensi dell’art. 54 D.Lgs. 151/2001. Il licenziamento effettuato in connessione con lo stato di oggettiva gravidanza e puerperio è da considerarsi
nullo, con la conseguenza che la lavoratrice avrà diritto al ripristino del rapporto di lavoro. Il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore, in caso di fruizione del congedo di paternità, per la durata del congedo stesso, e si estende sino al compimento di un anno di età del bambino. Durante il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salva che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, né può essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, salvo che sia avvenuto per cessazione dell’attività dell’azienda. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
Al di fuori di queste ipotesi, il
licenziamento intimato nel periodo coperto da divieto è nullo e la lavoratrice ha diritto alle tutele previste dalla legge, e in particolare:
Tali norme, peraltro, hanno contenuto sostanzialmente identico; entrambe, infatti, stabiliscono che la lavoratrice licenziata nel periodo di maternità o in conseguenza del matrimonio ha diritto alla cd. tutela reintegratoria piena, che prevede:
DimissioniLa richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice durante il periodo di
gravidanza, così come la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida
è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro (art. 55, co. 4, d.lgs. 151/2001). Diritto al rientroAl termine dei periodi di congedo, la lavoratrice (o il lavoratore, in caso di fruizione di congedo per paternità) ha diritto di conservare il posto di lavoro, di rientrare nella stessa unità produttiva in cui era occupata all’inizio del periodo di gravidanza (e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino) nonché di essere adibita alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti. Casistica di decisioni della Magistratura in tema di maternitàIn genere
Astensione dal lavoro
Indennità di maternità
Congedi parentali
Riposi giornalieri
Licenziamento
Dimissioni
Trasferimento
Normativa comunitaria
Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di maternità
Cosa succede se scade il contratto durante la maternità?Risposta – Nel caso di scadenza del contratto di lavoro durante la gravidanza, la lavoratrice ha diritto a percepire l'assegno di maternità per 5 mesi (dal secondo prima della data presunta del parto al terzo mese di vita del bambino) a condizione che tra la fine del contratto e l'inizio del periodo di astensione ...
Come prendere la maternità se non si lavora?Se ci si trova all'inizio del periodo di congedo maternità sospesa dal lavoro o disoccupata, si ha diritto all'indennità giornaliera di maternità, a patto che tra l'inizio della sospensione da lavoro o della disoccupazione e l'inizio del congedo non siano trascorsi più di 60 giorni.
Chi paga la maternità se l'azienda chiude?L'indennità di maternità a carico dell'INPS spetta:
alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell'INPS. in alcuni casi, anche alle madri la cui attività lavorativa sia cessata o sospesa.
Cosa succede se rimango incinta con contratto a tempo determinato?La maternità nei contratti a termine
La lavoratrice assunta con contratto a termine gode degli stessi diritti della lavoratrice assunta con contratto a tempo indeterminato. Ha diritto, infatti, a godere dell'astensione dal lavoro obbligatoria, c.d. congedo di maternità, ed a percepire l'indennità di maternità.
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